


 |
 |

Nel periodo della civiltà della Magna Grecia la cucina a Napoli era molto
simile a quella della madre patria: a base di carni e interiora di animali arrostiti,
formaggi di pecora e vini molto alcolici. Risale a questo periodo il maccherone che
deriverebbe dal nome makaira o makairon indicante un coltello a lama grande con il quale
si sarebbe potuto tagliare a pezzi un impasto di farina come per farne degli gnocchi. Con l'avvento dei romani anche la
gastronomia si adeguò alle ricche abitudini culinarie dei conquistatori. E' questo il
periodo di una pietanza formata da stracciate di acqua e farina cotte e inframmezzate di
carne e formaggi chiamate lagane, le antenate delle nostre paste.
Testo classico della gastronomia dell'epoca romana è il "De re conquinaria" di Apicio,
personaggio assai singolare vissuto all'epoca dell'imperatore Tiberio. Si narra che morì
suicida, quando visto il suo patrimonio assottigliarsi fino a soli dieci milioni di
sesterzi (qualcosa come dieci miliardi di lire attuali), ebbe il timore di essere ridotto
a ... morire di fame. Di alcune ricette riportate nel suo trattato è rimasta traccia
nella successiva cucina napoletana, come per la salsa verde di aceto ex Apicio molto
simile al condimento dei nostri cucuzzielli alla scapece ed il famigerato
"Garum" salsa di pesci fermentata, il cui sapore non doveva molto differire
dalle acciughe conservate sotto sale che tanto spesso compaiono nella nostra cucina come
nel condimento dei spaghetti aglio e olio e nel ripieno dei nostri puparuoli imbottonati
(peperoni imbottiti).
|







|