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Con l'avvento della dinastia borbonica a Napoli, nuovamente grande capitale
del Regno, torna il grande sviluppo così come in tanti altri campi artistici e
scientifici anche nella letteratura gastronomica. Inizialmente mentre la cucina di
corte doveva ancora ispirarsi molto a quella spagnola, nel vitto del popolo cominciava
sempre più a diffondersi l'uso dei maccheroni come cibo abituale anche grazie ad una
coltivazione sempre crescente di pomodori che permettevano di creare squisite salse con
cui condire questa pasta. Molto uso si faceva ancora da parte dei napoletani di erbaggi,
legumi e frutta, nonché di pesci che il golfo offriva in abbondanza e di cui Goethe
descrive con ammirazione le eleganti, colorate ed argentee mostre offerte nei cestini dei
rivenditori.
Col passare del tempo la
cucina del re tende ad assimilarsi a quella del popolo. Anche nelle tavole dei ricchi, nei
ricevimenti di gala, si faceva abitualmente uso dei maccheroni e proprio in questo periodo
nasceva un piatto che sarebbe divenuto uno dei cibi della cultura napoletana: la ,minestra
maritata. Questa minestra di, certa derivazione spagnola, era costituita da un ricco e
grasso brodo di diverse qualità di carni e di salumi in cui lentamente si lasciavono
insaporire tutte le squisite verdure delle paludi e degli orti vesuviani situati alla
periferia della città.
Ferdinando IV di Borbone ama
cibarsi di maccheroni e si narra che durante gli spettacoli al "San Carlo" si
facesse servire nel palco reale abbondanti piatti di pastasciutta che mangiava abilmente
ed ostentamente con le mani, introducendoli dall'alto della bocca spalancata e
divertendosi a spruzzare di salsa gli abiti di gala e le uniformi dei suoi cortigiani, che
facevano buon viso e cattivo gioco.
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