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Nel V secolo d.C. le cucine romane, che tanti fastosi banchetti avevano dato
all'impero, si spensero ed i Barbari mischiarono a tutto gli orrendi intrugli e condimenti
delle loro contrade natie.
In questi secoli, che videro alternarsi il governo dei Goti, Normanni e Svevi,
a Napoli giunsero alcuni alimenti che divennero in seguito una delle basi della
gastronomia partenopea: melenzane, vermicelli e maccheroni, questi ultimi già da tempo
diffusi in Sicilia. La cucina del popolo era molto piu' misera di quella dei signori, ma
probabilmente anche più saporita, spesso confezionata con gli avanzi delle mense dei
nobili. Accadeva molto spesso che, durante i banchetti dei ricchi, i poveri si
accalcassero fuori le porte aspettando che i servi francesi li chiamassero gridando: les
entrailles (le interiora). Le misere donne che accorrevano a queste grida furono, perciò
denominate "Zandraglie"
con la deformazione della parola straniera. proprio in questa epoca le povere
"zandraglie" napoletane, unendo alle interiora peperoni dolci e piccanti, hanno
inventato le prime saporose ed infuocate zuppe di soffritto.
Con la scoperta dell'America
la cucina partenopea dell'epoca fu a poco a poco influenzata dai nuovi alimenti
provenienti dalle terre oltre oceano scoperte da Cristoforo Colombo: giunsero a Napoli,
ormai divenuta colonia spagnola, pomodori, granturco, patate, tacchino e caffè. I
banchetti dell'epoca offrivano calici di vino vernaccia in cui inzuppare cialdoni, pasta
reale, pignolate, mostaccioli e cedronate, seguiti da antipasti salati, come le
sopressate, i fecatelli impanati ed arrostiti con foglie di lauro. Uno scrittore
dialettale di fine '600 narra di un festino, tutto magro, che inizia con una minestra di
piselli, seguito da cefali, polpettine di sardine in umido, sogliole e fravaglie fritte,
pere, fichi e formaggio. Quindi sorpresa finale: un grosso granchio arrostito sul quale
viene stappato un fiasco di Lacryma Christi.
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